FONTE: “Il Segnale” – Roberto Mosi, Sinfonia per San Salvi – Recensione di Antonella Lovisi

Roberto Mosi, Sinfonia per San Salvi, Edizioni Il Foglio, Piombino 2020. Progetto di Roberto Mosi e Nicoletta Manetti.

Recensione di Antonella Lovisi “Il Segnale”, n. 118, pag. 109-11°

Sinfonia per San Salvi è un’opera che si affida a molteplici forme di comunicazione con l’intento di affrontare un tema importante, quello della follia, sia raccontandola da diverse angolazioni e prospettive, sia sfruttando le svariate possibilità offerte dalla parola, dal linguaggio musicale e dalla fotografia. Si ottiene così un effetto sinfonia in cui, ad ognuno dei diversi elementi che concorrono a comporre l’opera nel suo complesso è commissionato un singolo aspetto: l’insieme orchestrato nel dialogo di parole, voci diverse, immagini, mira a raccontare una storia, quella dell’ex Manicomio di San Salvi a Firenze. L’opera infatti è dedicata a celebrare e ricordare, raccontandone e ricostruendone la storia, questo luogo, con un intento etico e civile:   

Come dare un’anima alle vite

naufragate nel padiglione

delle Agitate,

avvolgere il filo della memoria?

Disteso fra le erbe del giardino

respiro il profumo delle zolle

ascolto il battito della terra

l’eco delle leggende, delle voci

dei personaggi che hanno abitato

questo luogo, immagino la rotta

prossima della nave dei folli (p. 41).

Si sottolinea la necessità di mettersi in ascolto, di ristabilire la dignità di un luogo e delle vicende che ha accolto, affidandosi e coltivando la valenza che la memoria ha come luogo e spazio della ricostruzione storica di molte vicende umane. Essere capaci di ascoltare significa anche porsi in un atteggiamento di ricerca, di sguardo attento e occhio vigile. Paul Celan afferma che “le poesie, sono altresì dei doni, doni per chi sta all’erta”. L’arte, esemplificata per Celan nella poesia, si offre quale elemento di ricezione molto potente per chi ne sa cogliere le risonanze ed è attento a quello che ogni luogo nasconde in sé, considerando l’attenzione quale forma di cura, riguardo e accoglienza.

Un’ulteriore domanda risuona nei versi di Nicoletta Manetti, una tra le voci poetiche che costruiscono la sinfonia di quest’opera:

Chi ha abitato questo luogo?

C’è nessuno? Ascolto.

Una porta sbatte, un campanello insiste,

risate come grugniti o fiori spampanati,

grida stridule come gessi sulla lavagna,

rosario di lamenti …

risuonano in testa

volti invisibili, occhieggiano, spiano.

Mi aspettavano.

Il vuoto è piena, il silenzio è frastuono.

Un ghigno sorride sul muro

e minaccia i ricordi (p.18).

Tra le righe emerge una preoccupazione, quella dell’oblio, della dimenticanza: “svaniscono i ricordi” (P.18). Come permettere che ciò non accada? Dare voci a questi luoghi, alle porte che sbattono, alle grida stridule e a quelle che lo sono state meno, ad un campanello insistente come una domanda, alle eco delle voci rimaste incollate ai muri. Il vuoto che sembra riecheggiare negli spazi di uno di questi non luoghi che definiscono alcune aree urbane periferiche, è un vuoto che parla, che è consistente. La sfida è quella di mettersi in attesa, di essere capaci di sentire il frastuono e distinguere i diversi suoni, perfino quelli più impercettibili, come il rumore che fa la polvere:

Polvere di ossa. Polvere di stelle. Polvere da sparo.

Semplicemente polvere.

“Chiedi alla polvere”

ma non a questa che corre rutilante sulla strada

chiedi a QUESTA polvere

sincera, ferma di spazio e di tempo.

Ha molto da raccontare a chi chiede

a chi ascolta” (p. 33).

                                                                              A. L.