FONTE: QUInews Valdicornia

“​Le risse in via Gaeta, La Chiesa di via Lucca e il forno del Pepi” di Gordiano Lupi/Piombino (Foto di Riccardo Marchionni)

PIOMBINO — In via Gaeta non è che fosse tutto rose e fiori. C’era tanta gente che gli dava di gomito, uomini o donne non faceva differenza. E di tanto in tanto arrivava la Celere a sedare liti familiari e piccole risse che puzzavano di vino. Una bimba spesso si rifugiava in casa di mio nonno, a volte ci dormiva pure, in attesa che si calmassero le acque, che in casa propria tornasse la quiete dopo la tempesta. Erano i tempi che gli operai dopo il lavoro passavano le ore in fiaschetteria e i doveri familiari venivano in secondo piano. Mio nonno, per fortuna, non era un bevitore, sapeva contenersi; in certe occasioni faceva posto nel letto di mia madre e accoglieva chi aveva bisogno di passare una notte tranquilla. Mia madre guadagnava temporaneamente una sorella, di sicuro un’amica che poteva contare sul loro aiuto.

La Chiesa di Don Claudio era in via Lucca, angolo via Landi, piccola che appena ci entravi, ma era suggestiva, aveva un motivo d’esistere, di sicuro era migliore di quella prefabbricata in via Corsica, che ne prese il posto sul finire degli anni Sessanta. In pratica ho conosciuto solo la chiesa nuova; in via Lucca ci andavo al cinema parrocchiale la domenica pomeriggio, quando proiettavano pellicole di Tarzan e Totò, Gianni e Pinotto, Franco e Ciccio, spaghetti western e commedie castigate. Pure Don Claudio era un prete che tagliava i baci e nascondeva chissà dove i fotogrammi epurati, abbiamo avuto anche a Piombino i nostri piccoli Cinema Paradiso. Per farla breve, dovevo raccontare che mia madre avrebbe dovuto sposarsi in via Lucca, ma insieme a mio padre fece di tutto per avere la dispensa e poter celebrare la cerimonia nella Chiesa dell’Immacolata, quella dei frati, con la scalinata. In realtà a mio padre non importava niente – ateo e comunista com’era, almeno a quei tempi – avrebbe preferito una cerimonia civile, lo faceva solo per mia madre, era una prova d’amore il fatto di sopportare la presenza d’un prete a benedir le nozze, comunque indissolubili più d’un matrimonio tra credenti, un vero e proprio amore per la vita, come dicono gli spagnoli. Alla richiesta di dispensa presentata da mia madre, Don Claudio rispose: “Ma lo sa che il matrimonio è rinuncia?”. Mio padre non si fece spiazzare: “E la vuol far cominciare subito?”. Alla fine si sposarono dai frati, con la scalinata e con le foto che mia madre voleva.

Il forno del Pepi era in via Lombroso, almeno lo spaccio, si trovava poco dopo la Libreria Tornese, dalle parti del Caffè Austeri, mentre il laboratorio del pane era in via Galilei, dove i Pepi vivevano, oltre una porta che collegava i due fondi. Noi compravamo il pane dal Pepi ai tempi in cui abbiamo vissuto in via del Chiassatello, in casa cantoniera, una piccola strada interrotta da un passaggio a livello della quale un giorno o l’altro vi dovrò parlare. Prendere il pane dal Pepi è stato un compito di mio nonno per molti anni, fino a quando la salute l’ha assistito ed è rimasto con noi, se ricordo bene, dal 1972 fino al 1978. “Vado a prendere il pane dalla nagrona!” diceva a mia madre, lui che affibbiava soprannomi a tutti. Questo perché chi serviva al pubblico era una signora dal naso prominente, con le narici ampie. “Ma un forno più vicino non esiste?”, aggiungeva mio nonno, così, tanto per dire, mentre era già sulla porta pronto per partire. Sapeva bene quanto sua figlia fosse stucca per il pane, in una parola come non fosse facile accontentarla; in quel periodo era il Pepi che riscuoteva le sue simpatie, si doveva percorrere anche un paio di chilometri a piedi pur di avere il prelibato prodotto, basso e ben cotto. Quando vivevamo in via Gaeta il forno prediletto era il Bonanni, in vicolo Rosa, ci sono stati periodi in cui mia madre ha preferito il Martini, in corso Italia, e – almeno per la schiaccia – il Romagnoli, in via Torino. Per fortuna si trattava soltanto di forni. Mio padre poteva dormire sogni tranquilli.