Ilaria Dazzi, sul libro Dagli Appennini al Tirreno – Pensieri in libertà sul libro Dagli Appennini al Tirreno

Le radici sono un tema molto complesso e vivacemente percorso da numerosi autori: le radici sono una delle parti più profonde e più tormentate del nostro vivere, anche di chi preferisce non raccontarlo, di chi vive questo ‘capitolo’ dell’esistenza come un limite, un problema, un peso, come di chi invece ne è schiavo, prigioniero, riflesso o evoluzione.Le radici sono luoghi, sono paesaggi, sono ricordi; le radici sono percorsi, sono parole, canzoni, filastrocche, fotografie più o meno sbiadite, ritratti. Inizierei da questo prezioso concetto ad orientare le mie impressioni sulla Poesia in forma di racconto tra Piombino e le Marche: un testo a due voci, lontane fisicamente, nelle modalità espressive, dal punto di vista generazionale, lontane come le radici di cui ripercorrono le storie, ma vicinissime in ciò che la Poesia rende possibile, ossia mettersi a nudo, riaprire i cassetti della memoria e scioglierne i nodi superando l’imbarazzo di raccontarsi.”Pensati/nel passato sfumato/di ricordi, voce nel vento, tigli e cancelli bronzei” (p. 13): forse altre case, altri profumi rispetto al presente, “Resta uno scivolo, rimane/la panchina, senza bambini,” (p. 15) resta quello che non è replicabile “un istante […]ormai svanito, tra le pieghe/ sconvolte del destino” (p. 16). I passaggi non sono indolori, non certamente scevri di ferite che si riaprono e, come le onde del mare che funge da sfondo a questa raccolta, riportano a riva “sempre quel che siamo stati”(p. 17).La stagione della vita ha il volto di un mito, Euridice (p.21): “Euridice sono gli anni perduti,” e girarsi indietro significa paralizzarsi, non riuscire a volgersi oltre azione che si fa invece con la scrittura, perché scrivere è “accettare l’istante” (p.21). E’ un viaggio profondamente intimo quello di Lupi: un viaggio intimo per ciò che ripercorre, per ciò che racconta, ma anche per la modalità in cui segue il flusso di una memoria profondamente attraversata dalla nostalgia, dai suoni, dai colori di Piombino, del Cornia, del Rio Salivoli (p. 22).Il Tempo non è un dottore, non salva, ma segna il passo delle circostanze, delle scoperte, delle smentite e delle conferme (p. 27): il coraggio è riviverlo nelle immagini, nelle memorie, nelle attese del sole, nella schiuma del mare, “Tentare di scrivere a cinquantotto anni/ povera poesia non sarà più che questo” (p.31).“Piombino era/nido accogliente/per ogni ritorno” (p.36) e la distanza, se non fisica certamente emotiva, ha in sé la sofferenza del nido che manca ora, che non trova spazio nella contemporaneità e che rende il passato pieno di emozioni a fronte di un presente quasi apatico, spento, privo del mare… .Strinati ha un’attenzione particolare per le date e per i luoghi, che sono l’espressione del suo senso di immediatezza, dell’esigenza di trasmettere al lettore questa ‘urgenza’ alla vita, anche quando si riferisce al passato. “il tepore d’un abbraccio/[…]la tua mano candida/e tra le dita effluvio di ginepro” (p. 52) e ancora “Il gusto dell’amore/sulle tue labbra/perfette e ricamate” (p. 53): il sentimento esplode sia nel ritmo del verso che nell’immagine di un’alcova “in un nido di paglia” (p. 53). I primi componimenti sono caratterizzati da una presenza femminile che è talmente intensa da apparire quasi fisica: non conosciamo i tratti somatici della figura ma ne leggiamo la purezza dello sguardo, la forza dell’eros, una certa timidezza che rende più prezioso il sentimento condiviso.Poi prende forma il paesaggio marchigiano: “Il paesaggio rinomato/con le verdi siepi/ che fanno da contorno” (p. 57), “Il tuo sguardo chiaro/col mare che fa da cornice” (p. 58). E’ Senigallia ad ospitare un verso di rara intensità “l’apoteosi d’un abbraccio raro/ricavato dal gesto delle stelle”, e ancora “le dolci colline sulle sponde vergini/di un calmo mare” (p. 59): il mare si alterna alle colline, come fosse una creatura femminile “la tua forma fine che m’incanta l’anima” (p. 61) e ancora “ondeggiano gli odori/d’un albero frugale,/[…]simile a un ritratto certo,/fra le colline intatte”(p. 63).Troviamo edera, quercia, nespolo, le radici di cui tanto si è scritto (pp. 64-65), il ciliegio e con loro i colori, che esplodono e che “variano nel cielo” (p. 67): troviamo le origini, “la stagione ravvivata” (p. 71), un nuovo tempo che sembra far coincidere la primavera atmosferica con quella del cuore, dei sentimenti, della passione. Come se questa cornice marchigiana fosse il set cinematografico di una vicenda affettiva dalle radici profonde, che in quei colori, in quei ritagli di cielo e terra, trova compimento, prende la sua forma migliore, esprimendosi come in un’opera d’arte.Gli scatti di Massimo Ballanti danno una sorta di volto ai paesaggi raccontati: le radici, le origini, la relazione con il passato; un inno al verso libero non nella sua purezza ma nella sua potente efficacia espressiva, questo è la raccolta in oggetto. E se fosse una prosa prestata alla poesia o versi prestati alla prosa?Ai posteri…

Ilaria Dazzi