Marek Hłasko: aspettando l’ottavo giorno della settimana Edizioni il Foglio

“Ebbe una vita breve e tutti gli voltarono le spalle”. Così recita l’epigrafe sulla sua tomba nel cimitero Powązki di Varsavia. Marek Hłasko (1934-1969) è una leggenda della letteratura e, come ben sappiamo, gli scrittori leggendari non vivono soltanto nelle loro opere, ma anche nelle loro scelte di vita. La vita dello scrittore polacco, passata tra totalitarismi e avversità, successi ed eccessi, viaggi ed esilio, rientra a pieno titolo nelle biografie dei cosiddetti autori “maudits”. Ai suoi romanzi, infatti, si affiancarono gli eventi che lo videro ramingo per il mondo, esiliato in seguito alle sue critiche al regime comunista polacco, coinvolto in storie d’amore che fecero scandalo e in altri tristi episodi, tra cui problemi con la dipendenza da alcolici, arresti e cure psichiatriche. Come se non bastasse, ad alimentare il mito di Hłasko ribelle e anticonformista contribuì la definizione di “James Dean dell’est”, affibbiatagli per via di una vaga somiglianza con il famoso attore americano. Non da meno è il triste capitolo finale, ovvero quello della morte dello scrittore, dovuta all’assunzione di una dose eccessiva di sonniferi mescolati all’alcol, su cui ancora oggi aleggia il dubbio se si sia effettivamente trattata di una tragica fatalità o di un gesto premeditato. La vita di Hłasko fu contraddistinta sin dai primi anni dell’infanzia da due eventi traumatici: la morte del padre e, di lì a breve, l’occupazione tedesca della Polonia. Egli stesso in seguito avrà modo di affermare di non essere capace, dopo aver provato la fame e il terrore, di scrivere un testo letterario che non contenga una tragedia. Nel suo debutto ufficiale, il racconto Baza Sokołowska (1954), Hłasko mostra un certo legame allo schema letterario socialista, espresso nella rappresentazione dell’unità di un gruppo di lavoratori, nell’amore nei confronti del loro impiego e nel finale positivo. Nello stesso periodo Hłasko iniziò anche a scrivere per alcune importanti riviste del suo Paese, chiaramente legate al regime. Tutto questo, però, ebbe breve durata. Già poco più tardi l’autore prese le distanze da Baza Sokołowska. Una delle prime opere che segnano il distacco dalla dottrina comunista è Pierwszy krok w chmurach, una raccolta di racconti nella maggior parte dei quali la drammaturgia di Hłasko trova la sua maturità. L’opera, pubblicata nel 1956 − anno che in Polonia vide il disgelo – venne premiata dall’associazione degli editori polacchi. In essa si va nettamente contro gli schemi del realismo socialista: in questi racconti trionfa l’individualismo, la classe operaia sembra essere composta solo da alcolizzati e depravati, mentre la città, fino a quel momento decantata dalle autorità comuniste come il maggior simbolo delle nuove conquiste, diventa testimone della violenza perpetrata ai danni dell’innocenza. In particolare, nel racconto che porta lo stesso titolo della raccolta, viene espresso come l’odio, che genera violenza, nasca dal senso di vuoto della vita e dal fatto che il bello sia per molti inarrivabile. La brutalità che ne scaturisce invita a riflettere sul perché della nostra esistenza. Tutto ciò avviene mentre il sole, che fino a poco prima illuminava le pagine dei romanzi indottrinati dall’ideologia comunista, nelle opere di Hłasko spesso cede il passo a uggiose giornate di pioggia. Questo allontanamento dagli schemi ebbe come reazione la feroce critica del regime, che iniziò a definire le sue opere imbevute di opprimente pessimismo e svuotate di ogni speranza. In verità, la produzione letteraria di Hłasko rispecchia quella che era in effetti la società polacca del primo decennio del secondo dopoguerra, creata dal comunismo stesso. L’autore ha sapientemente messo a nudo il lato oscuro della realtà di allora, offuscato dagli intensi fumi della propaganda e dell’euforica ricostruzione del Paese. Il panorama letterario di Hłasko è composto da antieroi appartenenti agli strati più bassi della società, persone che non sono in grado di tenere testa alle avversità della vita. Sono dei disillusi, degli sconfitti; anche nel momento in cui sembra loro di aver raggiunto una certa stabilità, può succedere che in un attimo tutto crolli come con un castello di carte. Hłasko descrive magistralmente le sensazioni che traspirano dai suoi personaggi: l’abbandono di ogni speranza, un forte cinismo e una spiccata indifferenza. Sono personaggi che la vita ha reso dei perdenti, dei loser, come l’autore stesso li definirà. Questo forte pessimismo scaturisce anche dall’ambiente che circonda i derelitti presenti nei suoi racconti; si tratta, perlopiù, di luoghi tristi, lugubri, cinerei come lo era la realtà nella Polonia degli anni Cinquanta: vecchie fabbriche decadenti, bettole malfamate, vie buie e angoscianti. Per la generazione dell’epoca, i personaggi letterari di Hłasko divennero la rappresentazione della delusione cui essa andò incontro nella Polonia comunista, delusione accompagnata da una forte critica nei confronti del sistema totalitario imposto nei Paesi del blocco orientale. Fin da subito, infatti, lo stile di vita anticonformista e la produzione letteraria di Hłasko vennero visti dal pubblico come un simbolo della rivolta, un modello da contrapporre al grigiore esistenziale di quegli anni. Si può quindi decisamente affermare che l’autore stesso contribuì alla nascita della sua figura leggendaria, in una sorta di autocreazione del personaggio maledetto, osteggiato dalle autorità e, inoltre, spesso accostato ai protagonisti della Beat generation. L’ondata di critiche da parte del regime nei confronti di Hłasko ebbe il suo apice nel 1958, anno in cui lo scrittore fu costretto all’esilio. Fu l’inizio del periodo dell’emigrazione, che sarebbe durato fino alla sua morte. Su invito di Instytut Literacki, importante casa editrice in esilio, Hłasko decise di recarsi a Parigi dove ebbe l’occasione di pubblicare alcuni articoli su “Kultura”. Sempre nel 1958, sulla stessa rivista uscì il suo racconto Cmentarze, seguito da Następnego do raju. Per la prima delle due opere ottenne dalla casa editrice il riconoscimento di miglior autore polacco dell’anno. In Cmentarze Hłasko narra la vita in un sistema totalitario, mostrando persone spaventate, rese ciniche e insensibili dalla macchina della propaganda. Ciò da parte delle autorità polacche fu chiaramente interpretato come un ulteriore sgarbo: lo scrittore venne dichiarato disertore e nemico dello Stato, mentre le sue opere furono sottoposte a censura. Durante un suo soggiorno a Berlino, il governo polacco gli negò il rinnovo del passaporto, costringendolo così a chiedere asilo politico alla Repubblica Federale di Germania. Da quel momento per lui iniziò un decennio di viaggi da esule. Tra i diversi Paesi in cui lo scrittore soggiornò ci furono gli Stati Uniti, la Svizzera, la Germania e Israele. In questo periodo videro la luce opere come Wszyscy byli odwróceni (1964), Brudne czyny (1964), Drugie zabicie psa (1965), Piękni dwudziestoletni (1966), Sowa, córka piekarza (1967), mentre in precedenza, nel dicembre del 1958, a Colonia, era uscita la raccolta Ósmy dzień tygodnia (L’ottavo giorno della settimana), pubblicata anche in Italia, dapprima da Einaudi (1959) e in seguito da Mondadori (1963), il cui titolo trasmette l’illusione dei protagonisti, in attesa di un giorno migliore che non arriverà mai. In Piękni dwudziestoletni, invece, sullo sfondo dell’avanzata dell’Armata Rossa verso Berlino, lo scrittore polacco fornisce al lettore un’impressionante descrizione dell’homo sovieticus, la cui volontà era stata annullata dal totalitarismo. Tra la fine del 1968 e la prima metà del 1969 Hłasko fu travolto dagli eventi: nel dicembre del 1968 a Los Angeles, durante una serie di bonari spintoni tra lui e il suo caro amico Krzysztof Komeda − noto pianista jazz e compositore di musiche da film (si vedano i suoi lavori per Roman Polański, Janusz Morgenstern e Jerzy Skolimowski) − quest’ultimo cadde procurandosi un ematoma cerebrale, che fu la causa, nell’aprile successivo, del suo decesso. Hłasko, sentendosi moralmente responsabile, affermò che di lì a breve se ne sarebbe andato anche lui. Fu un triste presagio. L’inizio del 1969 aveva anche visto il suo divorzio dalla moglie, l’attrice tedesca Sonja Ziemann, che aveva conosciuto a Wrocław durante le riprese del film Ósmy dzień tygodnia e con cui si era sposato nel 1961. In giugno Hłasko si recò a Wiesbaden per incontrarsi con Hans Jürgen Bobermin, redattore del canale ZDF. Lo scrittore polacco morì la notte tra il 13 e il 14, proprio a casa di Bobermin. Gli amici intimi di Hłasko tendono a scartare l’ipotesi del suicidio: fu ritrovato un biglietto per Israele, mentre non venne rinvenuta nessuna lettera di addio. Erano persino presenti degli appunti per un nuovo scenario cinematografico su cui l’artista polacco stava lavorando. Gli anni Sessanta in Polonia avevano visto calare un silenzio pressocché totale sull’autore e sulla sua produzione letteraria, mentre in Occidente facevano la loro comparsa le traduzioni di alcuni suoi lavori. Soltanto a partire dagli anni Ottanta, sulla scia di Solidarność, l’interesse per la ricezione delle sue opere ebbe una significativa ripresa. Proprio allora trovò maggior forza, insieme all’immagine dell’indocile e dell’esule, la ricezione dei suoi scritti come la rappresentazione della voce di una generazione. Senza alcun dubbio, le opere di Hłasko restano un’importante testimonianza del periodo in cui egli visse e dei suoi protagonisti, così come degli effetti che ebbero sulla psiche umana l’occupazione nazista e, successivamente, la dittatura comunista. Dall’altra parte, l’aspetto controverso della sua opera stimolò anche una certa critica che, oltre a un forte nichilismo, gli imputava, in alcuni casi, la mancanza di autenticità. In realtà, come si avrà anche modo di appurare nelle due opere qui di seguito presentate, era proprio attraverso le sue creazioni letterarie che Hłasko metteva spesso in luce la teatralità della vita umana; si tratta, quindi, di un’artificiosità voluta. Il periodo tra gli anni Novanta e l’inizio del terzo millennio in Polonia ha visto un calo d’interesse nei confronti della produzione letteraria di Hłasko. Considerata la forte popolarità registrata nel decennio precedente, si è trattato di un logico assestamento, di una sensazione di esaurimento della tematica. Inoltre, il contesto politico in cui si svolgevano i suoi romanzi era ormai concettualmente lontano. Infatti, il comunismo era finalmente caduto e, di conseguenza, la figura del ribelle antiregime non era più necessaria: la società polacca guardava con entusiasmo al sistema del libero mercato, all’integrazione in Europa, mentre voleva dare un taglio netto al passato. Eppure, nel nuovo millennio, in reazione alla crisi di alcuni valori del mondo occidentale, alla critica verso le ipocrisie della società e al ritorno, in certi ambienti, all’idea di ribellione, l’opera di Hłasko si è rivelata ancora una volta di sorprendente richiamo.E poi, diciamocelo pure, Hłasko sapeva scrivere. Ancora oggi persiste il mito dello scrittore maledetto dalla vita sregolata, insomma dell’eterno ribelle. Negli ultimi anni, a suscitare un nuovo interesse verso le sue opere hanno contribuito anche alcune biografie e la scoperta di un suo manoscritto inedito, dal titolo Wilk, dato alle stampe nel 2017