Wilma Minotti Cerini/La poetica trascendente di Peter Russell/recensione di Mons. Franco Buzzi/Ed. il Foglio Letterario

Lo confesso candidamente: devo all’amica Wilma Minotti Cerini il mio primo incontro con la poesia di Peter Russell. L’amicizia ha in sé qualcosa di contagioso: ti porta a condividere un mondo di ideali e di valori che scopri essere comune a un gruppo di persone, nelle cui forme espressive ritrovi quella consapevolezza dell’umano, dalla quale emerge una limpida e sincera conferma della tua stessa umanità.

Peter Russell, un poeta indubbiamente grande e tanto discusso del XX secolo, non si è limitato a scrivere poesie, ma si è mostrato capace, a più riprese, di esprimere anche in termini concettuali e filosofici il proprium più intimo della poesia. Infatti, in alcuni saggi introduttivi alle sue raccolte poetiche, egli traccia con chiarezza le linee della sua poetica. Sostiene che della poesia non sia possibile trovare una definizione esauriente, perché «la poesia è partecipe di una certa qualità universale», «la voce del poeta non è la propria, è invece una voce universale, la voce, se vogliamo, dell’umanità» (Peter Russell, Avant-propos a una lettura delle proprie poesie, in Peter Russell. Vita e poesia, a cura di Wilma Minotti Cerini, Edizioni il Foglio, Piombino 2021, p. 11). Nella poesia, nella grande e vera poesia dell’umanità, si incarna e si svela la consapevolezza dell’essenza intuitiva delle cose e degli avvenimenti. In essa prende corpo un’intuizione universale, la quale, di volta in volta, in questo o in quest’altro grande poeta, si colora necessariamente di precisi riflessi sentimentali, non può che esprimersi in parole, immagini, suoni e concetti particolari, ma essa non coincide essenzialmente con questi mezzi espressivi. Infatti «le parole, le immagini, i concetti non sono altro che uno schermo trasparente sul quale certe apparizioni vengono proiettate. La vera poesia sta dietro lo schermo ed è evocata dal ritmo e dalla musicalità. Le apparizioni sullo schermo sono la materia, la musicalità è l’anima o l’essenza» (Ivi, p. 19).

Le linee di questa poetica corrispondono in pieno all’anima di Russell, poeta assetato di ogni bellezza e verità, impegnato in un continuo confronto dialogico – tramite un’abituale immersione nelle più diverse culture e civiltà del mondo – con la totalità di ciò che esiste ed è esperibile dallo spirito umano, strutturalmente caratterizzato e sostenuto da un’apertura incondizionata alla trascendenza. «La poesia seria, per quanto concreta nelle sue immagini, deve essere sempre un’esperienza trascendente» (Ivi, p. 20). Quest’apertura dello spirito umano al tutto – compresa la sua dimensione trascendente – apre e tiene aperto il campo di ogni esperienza in cui la coscienza, alimentata dalla “contemplazione” dell’incontenibile immensità del reale (cfr. la poesia definita come θεορία, ivi, p. 18), si dibatte perennemente tra il bene e il male, tra la saggezza e la stoltezza, tra il giusto e l’ingiusto, tra il vero e il falso. Questo è il campo aperto dell’esperienza umana in cui si danno insieme le possibilità della fede e del dubbio, dell’ardente adorazione religiosa e dello sconforto privo di luce. È il moto altalenante del vivere descritto nella poesia Anima dell’uomo: «L’anima dell’uomo come una barca di guscio di lumaca / Su un immenso oceano si alza e cade giù: / Si alza e cade, e di nuovo cade e si rialza / Fradicia con l’amaro sale di amore, / Il suo corso un costante lento cimentare / Diretto ciecamente verso una stella che sparisce» (Peter Russell. Vita e poesia, cit., p. 571).

Colgo come importante e vera l’osservazione di Wilma Minotti Cerini, che nel suo Saggio conclusionale descrive lo stato d’animo del poeta ormai stanco di vivere: «Allora Peter vuole morire, volge la sua tenerezza e il suo affidamento verso quel Dio che lui non può sentire suo nell’ambito di un’unica religione, ma solo nell’interezza del cosmo» (Ivi, p. 832). Il confronto con tutte le religioni del mondo non gli impedisce di riconoscere che, in mezzo alla confusione e nell’impossibilità di procurarci una vera felicità definitiva, occorre ignorare il ciarpame e riconoscere l’insopprimibile fascino della figura di Cristo, perché «Cristo è il nostro soccorso» (P. Russell, I cieli sono pieni della Gloria del Signore, ivi, p. 761). Umilmente reclama per sé il positivo e prende consapevolmente le distanze dal negativo: «Temo il vuoto totale degli anni futuri: / Intanto non posso che vegliare umilmente e pregare. / Senza fede, quale rinascita posso attendere?» (P. Russell, Wonderful World, ivi, p. 742). Con Paolo di Tarso o quelli della sua scuola, crediamo che ἐν αὐτῷ κατοικεῖ πᾶν τὸ πλήρωμα τῆς θεότητος σωματικῶς, «in lui [in Cristo] abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col. 2,9).

Ma non è con questo timido richiamo alla sensibilità anche cristiana di Russell che voglio concludere il mio ricordo di lui. Certamente anch’egli ha intuito nel cristianesimo una forza spirituale portante della nostra civiltà, con tutta l’inesprimibile e innegabile carica lasciata dalla religione e dalla devozione cristiana nell’arte, nella letteratura e nel pensiero europeo. Piuttosto, di fronte a un’Europa come la nostra, che oggi rischia di smarrire se stessa lontano dai suoi princìpi identitari, mi piace ricordare l’incondizionato riconoscimento e l’immensa gratitudine esplicitamente professata da Peter Russell nei confronti del mondo greco-latino, a partire dall’inarrivabile Omero: «Il cieco Omero, schernito dalla truppa ignorante, / Sorretto tra i muli, inventò l’Olimpo; / E l’Ellade esplose in fiamme d’oro, e l’Europa / Lenta lenta crebbe dai suoi lunghi esametri…» (P. Russell, Il cieco Omero, ivi, p. 32). Come non avere davanti agli occhi l’affresco del Parnaso di Raffaello nella Stanza della Segnatura? Dimenticare la poetica trascendente di Peter Russell significherebbe anche consegnare l’Europa al proprio disfacimento culturale.

Mons. Franco Buzzi