Wilma Minotti Cerini/recensione di Mons. Don Franco Buzzi/Edizioni il Foglio Letterario

Ringrazio di cuore l’amica Wilma Minotti Cerini per questo libro di poesie, nel quale ha voluto raccogliere, con semplicità, i suoi momenti di autentica ispirazione, per rendercene partecipi, svelandoci i segreti del suo mondo interiore. Wilma generosamente ci immette nella rete delle variegate tonalità affettive che riguardano non solo i suoi rapporti di famiglia, ma il mondo intero: l’indicibile bellezza della natura, il mistero insondabile del cosmo, i personaggi emblematici della storia e della mitologia, i pensatori dell’Asia e dell’India, alcuni ragguardevoli filosofi occidentali, i santi della carità, gli amici scrittori e poeti a lei vicini per affinità elettive, gli umili e gli indifesi della terra, i bimbi che giocano ignari e lieti nelle pozzanghere di fango ai margini della storia, le mamme che piangono i loro figli assurdamente uccisi, i migranti in cerca di lavoro e dignità, gli infimi schiacciati dall’arroganza del potere, gli accattoni ai quali nessuno vorrebbe badare, talvolta solitari portatori di raffinata saggezza e insondabile umanità, talaltra vittime di meccanismi alienanti e schiavizzanti. Così, con semplicità, le poesie di Wilma accarezzano valli e corsi d’acqua, boschi e colline, fiori e riflessi di luce, asciugano volti in lacrime e raccolgono sorrisi radiosi e incoraggianti, segno inequivocabile di una volontà di ripresa, in un mondo devastato da ingiustificabili guerre fratricide e vergognosi egoismi.

Questa raccolta di poesie è attraversata da una grande attenzione fenomenologica alla vita, al suo apparire, alle sue trasformazioni e alla sua fine. Alla poetessa non interessa tanto la trasformazione fisica dell’essere umano, quanto piuttosto il divenire psicologico di quell’identità che abita in ciascuno di noi e che, nel tempo, si apre alle attese di un futuro ricco di promesse, si nutre di sogni e progetti, fantasiosi o realistici che siano, raggiunge una maturità carica di buoni risultati, insieme a fallimenti e inevitabili delusioni, e si volge verso un declino progressivo, vissuto in forma vigile e pienamente consapevole di potenzialità che non vengono meno. È la parabola della vita: è la verità della nostra identità nello scorrere del tempo interiore. Qualcuno ha detto: «La verità vi farà liberi» (Gv. 8,32). Liberi anche dall’assolutizzare un momento particolare di questa parabola, che va compresa e abbracciata nella sua interezza, secondo verità. Per esprimere questo tragitto Wilma ricorre spesso alla metafora delle stagioni della vita, da lei dipinte nella policromia della loro trascolorante bellezza: qui l’universo creato si veste di umani sentimenti in divenire, mentre gli stati d’animo emotivi assumono di volta in volta i profili e i tratti dei fenomeni della natura, quando le immagini di questa si sovrappongono a quelle dei volti e viceversa.

Tuttavia il discorso poetico non si arresta al piano fenomenologico della natura sorpresa nel suo perenne divenire. La domanda sul tempo si approfondisce fino a diventare metafisica: che cos’è il tempo e quali sono i tempi del tempo? Tra gli autori di rifermento non manca l’uomo di Tagaste, Agostino d’Ippona, che ha indagato sulla natura del tempo. In realtà, passato e futuro propriamente non esistono, perché la scena, nella coscienza del tempo, è sempre dominata dal presente. Esiste infatti l’istante presente del nostro percepire la realtà con i sensi ovvero l’istante attuale della mente che intellettualmente si esercita, mentre il passato si raccoglie nel presente della memoria e il futuro si risolve nel presente dell’aspettativa. Esiste perciò solo il presente del presente, il presente del passato e il presente del futuro. Nel presente l’identico “io” prende coscienza di esistere come soggetto retratto verso il passato (nella memoria) e, al tempo stesso, proteso verso il futuro (nell’attesa): l’io è dunque un’identità distesa tra passato e futuro che si raccoglie tutta nell’istante presente. Proprio questa differenza (i momenti del tempo: passato, presente e futuro) che si compone nell’identità dell’io, rivela la natura “dialettica” e la “finitezza” dell’io. Insieme, però, nell’io finito, la consapevolezza della propria finitezza si accompagna, per contrasto, alla consapevolezza della propria differenza rispetto all’Infinito e all’Eterno, dunque rispetto a una dimensione sopra-dialettica dell’Essere, quella che indichiamo con il nome di Dio.

Questo discorso filosofico, articolato in notitia sui ipsius e notitia Dei,  potrebbe sembrare impegnativo e difficile. Invece esso è presentato sotto elegante veste poetica: anima il respiro cosmico di tutto il creato e vive nella semplice domanda che pone la creatura davanti al fondamento misterioso del proprio essere, quando, alla ricerca della propria origine, la creatura è costretta a ipotizzare un pensiero o una mente che trascenda il proprio pensiero, anzi un amore originario, integro e totale, che renda possibile il nostro amore, sempre ricco e al tempo stesso sempre povero, affetto da cronica mendicità e in cerca di un appagamento completo e definitivo. All’amore infatti compete il compito esclusivo, piacevole e difficile, mai risolto e perciò costantemente riattivato, di appianare e di armonizzare i contrasti.

Resta, infine, il tormento di una questione ancor più ardua: la presenza del male, specialmente quello morale che implica la responsabilità umana, il male che segna di sé, fino allo scempio, corpi e coscienze ferite. Gli orrori della guerra e gli insulti alla dignità della persona si radicano profondamente nella memoria del passato. Come si potrà purificare, nel presente, il ricordo che alimenta l’odio e la volontà di vendetta, per lo più solo sospesa e rinviata al futuro? Non è facile l’oblio. Come si potrà rigenerare la memoria delle origini pure, detergendone l’attuale bruttura del male? Qui nasce la contemplazione amorosa dell’Uomo della Croce e l’anelito a una redenzione dell’umanità che solo da un Dio adorabile, fatto uomo e crocifisso, può sperare una soluzione. L’affidamento, senza condizioni, a colui che ha preso su di sé il male del mondo suona qui come la parola orientativa suggerita dalla poetessa a un’umanità tribolata e alla ricerca di se stessa.

Invito perciò cordialmente tutti i lettori a immergersi con grande tranquillità d’animo in questa consistente raccolta di poesie di Wilma Minotti Cerini. In esse possiamo incontrare non soltanto gli intimi sentimenti della poetessa, ma anche molta parte di noi stessi, nel tendere insieme a quelle verità che hanno il potere di liberarci dai nostri mali.

Con queste mie parole, onorato di poter accompagnare la pregevole e ricchissima collana poetica di Wilma, intendo esprimere anche un grazie sentito all’amica che, nel ricordo indelebile del suo caro marito, il visconte Livio Minotti Cerini, ha voluto omaggiare la Biblioteca-Pinacoteca Ambrosiana di molti pregevoli doni, durante gli anni della mia prefettura e oggi ancora.

                                                                                          Mons. Franco Buzzi

                                                                                                  XXV Prefetto (2007-2017)

                                                                                                della Veneranda Biblioteca Ambrosiana

                                                                                                                Collegio dei Dottori

Milano, 15. 12. 2019