Un racconto al giorno. La leggenda di Sant’Anastasia, patrono di Piombino. Il Foglio Letterario Edizioni

Un racconto al giorno – La leggenda di Sant’Anastasia, Patrono di Piombino

Non me ne vogliano i cattolici praticanti se chiamo leggenda la vita di una Santa, non lo faccio certo per mancanza di rispetto verso la religione cattolica. Solo che le vite dei Santi sono così ammantate di mistero che sembrano più racconti surreali che storie edificanti. E io da buon laico è soprattutto con il mistero che me la dico bene.

Anastasia è una Santa mica da poco per la nostra Piombino, stiamo parlando della Patrona, roba che a Livorno se tocchiamo Santa Giulia e a Pisa se parliamo male di San Ranieri viene fuori un quarantotto. A Piombino invece, diciamoci la verità, di Sant’Anastasia oggi come oggi importa poco a tutti. Non mi chiedete perché, so soltanto che è così. A Piombino neppure si festeggia il giorno del Santo Patrono, qualche sfaccendato al massimo lavora mezza giornata, si fa una processione la mattina, la messa a Sant’Antimo e stop. Peccato, però. Se penso alla luminaria di San Ranieri che fanno a Pisa mi ricordo quando ero studente e rivedo una distesa di piccoli ceri che si stempera al chiarore dell’alba. Allora studiavo diritto canonico e il giorno dopo la luminaria di San Ranieri dovevo sostenere l’esame, pensavo che Pisa fosse come Piombino, che gliene importasse poco alla gente del Santo Patrono. E invece niente. Nemmeno l’esame mi fecero dare col fatto che c’era stata la luminaria. Ma non divaghiamo. Si parlava di Sant’Anastasia.

Sant’Anastasia Vergine può disporre niente meno che di due fonti medievali leggendarie: il Martirologio Romano e la Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze. Vediamole entrambe e cerchiamo di capirci qualcosa. Il Martirologio dice poco o niente e in breve sintesi ricorda soltanto che al tempo di Diocleziano la Santa venne torturata, legata al palo e bruciata viva (come fosse stata una strega) nell’isola di Palmaria. Per approfondire l’argomento della nostra sventurata Patrona dob-biamo andare a leggere la Leggenda Aurea.

Anastasia veniva da una famiglia molto ricca e molto cristiana (mi pare il minimo) e la sua educazione religiosa fu impostata dalla madre e perfezionata da San Crisologo. Anastasia fu costretta a sposare un certo Publio ma simulando una malattia riuscì a mantenere la verginità. La futura Santa passava le sue giornate dedita alla preghiera e alla rinuncia, organizzava gruppi di cristiani e onorava il suo Dio. Doveva essere un bel credulone questo Publio, oppure di Anastasia gliene importava poco e si consolava fuori dalla porta di casa, ma soprattutto c’è da credere che le sue mire andassero oltre il corpo della futura Santa. Publio infatti tentò di far morire di fame la moglie per impadronirsi della sua ricca dote, che forse voleva godersi in festini e lussurie visto che lei era così morigerata. Ma siccome chi la fa l’aspetti e pare che il diavolo faccia le pentole ma che per i coperchi si stia ancora organizzando, capitò che un bel giorno morì Publio invece di Anastasia. Diocleziano non vedeva di buon occhio le attività dei cristiani che perseguitava con rancore e odio anche eccessivo, forse immaginava che il credo cristiano avrebbe proliferato distruggendo l’Impero Romano. Fu così che obbligò Anastasia a sposare un prefetto, che pur di mettere le mani sulle grandi ricchezze della donna era disposto anche a rispettare il suo desiderio di verginità. La futura Santa però rifiutò le nozze con sdegno e disse che le sue ricchezze le aveva destinate tutte ai poveri. Fu relegata nell’isola di Palmaria e nel 287 venne condannata al rogo insieme ad altri cristiani.

Questa è la storia della nostra Santa Patrona. Certo, non compì gesta mirabolanti, non uccise draghi e non cristianizzò popoli di paesi sperduti, non se la dovette vedere con il Demonio in persona e non dette la vista ai cechi, non fece miracoli e non fu martirizzata a colpi di frecce come Sebastiano. Però pure lei fece del suo meglio e sul sentiero della bontà una piccola lastra di marmo bianco ce l’ha messa di sicuro con quella decisione di destinare le ricchezze ai poveri. Non è così popolare tra i ricchi il desiderio di spartire e condividere, di solito è più frequente l’egoismo e la durezza d’animo. E quanto alla santità di Anastasia la vedo un po’ come il buon Fabrizio De Andrè: “Non intendo cantare la gloria/ né invocare la grazia o il perdono/ di chi penso non fu altri che un uomo/ come Dio passato alla storia/ ma inumano è pur sempre l’amore/ di chi rantola senza rancore…”.

La discussione storico – geografica su Palmaria mi interessa poco, secondo me di sicuro è Palmaiola, isola che ancora oggi vediamo al largo di Piombino nel bel mezzo del Canale. Pierluigi Mascia in-vece dice di no, pensa che due isolotti situati nei pressi di Ponza e Portovenere abbiano più titolo. Avrà ragione lui che è un accademico, a me che sono uno scrittore di misteri e di cose fantastiche affascina di più l’idea di Palmaiola. Tra l’altro Palmaiola una volta produceva una vegetazione di piccole palme e al tempo dei Ludovisi la Comunità affittava Palmaiola con l’obbligo per l’affittuario di fornire duecento piccole palme da benedire durante la Settimana di passione. Tornerebbe tutto, pure il nome di Palmaria mutato nei secoli in Palmaiola, anche se adesso resta uno scoglio brullo e deserto in mezzo al mare. L’isolotto del Canale di Piombino era proprietà di nobili pisani e nel 1085 Guglielmo, vescovo di Populonia, portò via da quella terra coperta di palme il corpo di una Santa. Il culto di Ana-stasia a Piombino si spiegherebbe meglio se lei fos-se stata bruciata proprio nell’isolotto davanti al promontorio. Nel 1518 a Piombino esisteva già una chiesa dedicata a Sant’Anastasia ed era situata in via Cavour (allora Campo di Fiori), mentre le reliquie della Santa erano da tempo venerate. Nel 1472 il Consiglio degli Anziani aveva deliberato l’organizzazione di un Palio annuale in occasione della festa di Sant’Anastasia, tradizione che andò avanti per oltre un secolo e che si è perduta solo in epoca moderna. Si trattava di una corsa di cavalli che rappresentavano i Rioni, sul modello senese. Al vincitore veniva assegnato un drappo ricamato offerto dal Signore o dalla comunità, mentre in onore della Santa in tutte le chiese della città si celebravano funzioni e il popolo offriva cera. Nel 1700 il vento della razionalità che soffiava dalla Francia contribuì a spengere nell’animo dei piombinesi queste tradizioni religiose. Peccato. Lo dico pure io che sono laico. In tempi recenti si è cercato di fare qualcosa e dopo il 1987 (diciassettesimo centenario del martirio della Santa) si sono sviluppate nuove celebrazioni religiose e rievocazioni storico – culturali come la Messa con la consegna del Cero, la benedizione del Palio e il Palio degli Arcieri. Sant’Anastasia deve tornare ad avere un posto im-portante nell’animo dei piombinesi che da almeno trecento anni non l’amano abbastanza. L’unica cosa che ci salva è che i Santi per il bene fatto e le sofferenze patite non chiedono mai contropartite. Per fortuna, se no con la povera Anastasia si stava messi male…

(dal mio “Piombino leggendaria”, best-seller a Piombino)

Ah, il libro lo trovate da Edicola Casarosa, davanti al comune, in corso vittorio emanuele, portato adesso, fresco, fresco …