Edizioni Il Foglio Letterario pubblica un libro di Patrizio Avella su Pellegrino Artusi e ristampa “L’arte del mangiare bene in Toscana”.

Nasco a Forlimpopoli, il 4 agosto del 1820, da un mercante e una donna di casa, studio in seminario, a Bertinoro. Ho il pallino degli affari ma amo viaggiare in lungo e in largo per la mia bella Italia. Amata Romagna ti saluto a trent’anni, vado a Firenze, non mica così lontana, ancora oggi c’è chi mi dice “Toscano” perché qui vivo fino al 30 marzo del 1911.

Novantuno anni spesi bene, mica sprecati come tanti, passati tra pentole e poeti. Cultura e cucina, queste le mie passioni, scriver mi piace e non solo ricette. Il mio libro più noto è letteratura culinaria: La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene; dato che non ho figli lo lascio in dote ai miei amati cuochi, Marietta Sabatini e Francesco Ruffilli, che vivono di rendita fino al 1961, anno che scadono i diritti. Un successo editoriale non da poco, tradotto in tutto il mondo, più di un milione e mezzo di copie vendute. Unifico la lingua col mio libro e pure la cucina perché il riso prima si mangiava solo al nord e la pasta secca era tipica del sud. Non scrivo mica solo un libro di cucina, uso una lingua chiara e pulita per trasmettere un poco di cultura fatta di aneddoti e di cose curiose. Il mio romanzo della cucina italiana trasuda ricordi regionali, storie, aneddoti e racconti, non soli consigli per massaie.

A Firenze lo pubblico a mie spese in mille copie, nel 1891, divento editore di me stesso e continuo a pubblicare il mio libro per vent’anni. Finisce che vendo quasi quanto il libro Cuore e seguo Pinocchio a ruota, nella mia classifica ideale, nei gusti del popolo italiano. Siamo gente che ama la cucina, ma nel mio libro ci metto un po’ di tutto, quasi fosse un’enciclopedia: igiene, medicina, geografia, mitologia, storia, poesia … imbandisco un banchetto letterario e tutti siedono alla tavola di Artusi. Chi avrebbe mai pensato a dispensare notizie sul caffè e su come si disossano le rane? Servire il tè, spennare un pollo, scoprire il modo di servire in tavola, quindi assaggiare piatti poco consueti. Scrivo il mio libro in italiano vero, senza dialetti, senza regionalismi, pure se ci metto tutte le ricette del Bel Paese, alcune pure tedesche, spagnole, francesi, inglesi, divagando a spasso per l’Europa. Monologo culinario e letterario, dialogo col lettore, questo è il mio libro, un vero manuale. Tu pensa che in Romagna lo regalino alle future spose, perché una brava moglie deve saper cucinare, e cosa c’è di meglio dell’Artusi per mettersi un poco a imparare?

Una donna di casa deve saper fare la minestra e cucinare le tagliatelle bolognesi, che non sono mica una pasta comune, devono avere una misura stabilita.

Io, Pellegrino Artusi, consegno questo libro al mio Paese. Cucina romagnola, fiorentina, pure livornese. Cucina povera, così, senza pretese. Tutto questo è la mia cultura, fatta di pasta e riso, fatta d’amore per la mia terra e per il mio sapere. Quando vi lascio, sono ormai un vecchietto e mica avrei immaginato che il mio nome sarebbe diventato sinonimo del mangiar sano, del mangiar bene, del mangiare italiano, del mangiar toscano.