Anche Dante ogni anno torna a Vallombrosa – Ariosto sale all’Abbazia con l’ “Orlando Furioso”

Anche Ludovico Ariosto cita Vallombrosa, precisamente nel XXII canto dell’Orlando furioso.


Per battezzarsi dunque, indi per sposa
la donna aver, Ruggier si messe in via,
guidando Bradamante a Vallombrosa
(così fu nominata una badia
ricca e bella, né men religiosa,
e cortese a chiunque vi venìa);
e trovaro all’uscir de la foresta
donna che molto era nel viso mesta.

[da Orlando Furioso, Canto XXII]

Una targa apposta sulle mura esterne del monastero, vicino all’ingresso principale, ricorda Ariosto con alcuni versi tratti dal suddetto passo.

William Thomas Beckford

L’autore del romanzo gotico Vathek (scritto in francese nel 1785), visitò Vallombrosa con un amico nel 1780 alla ricerca di luoghi fuori dai classici itinerari e descrisse con dovizia di particolari il suo viaggio in una raccolta di lettere pubblicate el 1783 dal titolo Dream, waking thoughts and indicents in a series of letters.

Robert e Elizabeth Barrett Browning

Robert ed Elizabeth visitarono Vallombrosa nel luglio 1947 un po’ per cercare un posto dove trascorrere l’estate lontano dall’afa (e dalle zanzare, come Elizabeth confessa in una lettera) di Firenze, un po’ per ripercorrere i passi di John Milton, che entrambi conoscevano bene. A Elizabeth toccò la sorte di tutte le altre visitatrici: le donne non potevano soggiornare all’interno della badia, quindi dovette sostare con la cameriera personale Elizabeth Wilson fuori: “Porteranno Robert nel monastero e lasceranno Wilson e me all’esterno con altre bestie immonde. Non ci sarà permesso di cenare insieme, oso dire! Forse potremo avere un caffè qualche volta, oppure fare una passeggiata, ma comunque quello sarà un divorzio […]”

Nonostante la brutta esperienza (nemmeno la lettera di referenza dell’arcivescovo di Firenze servì a far soggiornare Elizabeth all’interno), al ritorno da Vallombrosa Elizabeth scrisse dei bellissimi versi dedicati al luogo nel suo lungo poema Casa Guidi Windows:

And Vallombrosa, we two went to see
Last June, beloved companion, – where sublime
The mountains live in holy families,
And the slow pinewoods ever climb and climb
Half way up their breasts, just stagger as they seize
Some grey crag – drop back with it many a time,
And straggle blindly down the precipice!
The Vallombrosan brooks were strewn as thick
That June-day, knee-deep, with dead beechen leaves,
As Milton saw them ere his heart grew sick,
And his eyes blind…

(Traduzione: E insieme visitammo Vallombrosa,
il giugno scorso, amato compagno – ove sublimi
vivon i monti in sacre famiglie,
E i tardivi boschi di pini si inerpicano continui
Per metà dei loro fianchi, per poco barcollano nell’impadronirsi di
Qualche grigio dirupo – molte volte si ritirano,
E ciecamente giù si perdono nel precipizio!
Quel giorno di giugno i ruscelli di Vallombrosa
Da un denso strato ricoperti, sino al ginocchio, dalle foglie morte dei faggi,
Come Milton li vide prima che il suo cuore si ammalasse
E gli occhi si offuscassero…)

Gabriele D’Annunzio

Nell’estate del 1908, durante l’ultima settimana di luglio, D’Annunzio arriva a Vallombrosa e pernotta al Grand Hotel nella vicina località di Saltino (la costruzione originaria andò distrutta a causa di un incendio nel 1902).
La sua presenza destò subito molta curiosità: il poeta non passava certo inosservato con i suoi comportamenti eccentrici. Come ci racconta nel suo diario Josephine Kempter Rognetta (moglie dell’ingegnere Francesco Rognetta che amministrava il Grand Hotel e la ferrovia Sant’Ellero-Saltino):
“[…] scendeva tardi al mattino, sempre molto chic, forse un po’ esagerato, era sempre invitato a colazione o a pranzo, o invitava lui amici suoi […] Dopo colazione D’Annunzio rimaneva nel giardino e faceva “circolo”: lui in mezzo e tutti intorno, sembrava che dicesse grandi cose; io ci capitai qualche volta, ma non trovai mai che dicesse qualcosa di interessante…”.
La Kempter descrive come le signore facessero di tutto per accaparrarsi le attenzioni del Vate e accenna anche al flirt che ebbe con Miss Dorothy Chapman (poi diventata spunto per la protagonista di Forse che sì, forse che no) alloggiata con i genitori al Villino Margherita. Uno dei motivi per cui D’Annunzio si trovava a Vallombrosa era probabilmente anche la vicinanza con uno degli ultimi oggetti del suo amore, la contessa Giuseppina Mancini. I due si erano incontrati per la prima volta a Roma (la Kempter dice che fecero assieme una gita sull’Appia Antica rincasando all’alba e che D’Annunzio la ricoprì di violette comprandole da tutte le fioraie). La contessa, scontenta del matrimonio con il conte Lorenzo Mancini di Giovi (Arezzo), cedette alla corte del poeta nel 1907, iniziando a frequentarlo di nascosto finché la relazione non fu scoperta e lei fu ricattata dalla famiglia a interrompere il rapporto. Così nell’estate del 1908 D’Annunzio, venendo a Vallombrosa, provo ad avvicinarsi alla contesa Mancini per riconquistarla: riuscì in un breve riavvicinamento (fu scorto al santuario della Verna con due donne, di cui una era la Mancini) e in una breve fuga d’amore a Perugia e Assisi. Alla fine la relazione divenne insostenibile per Giusi: il marito promise di riaccoglierla se avesse interrotto la relazione con D’Annunzio e lei, per il dolore di dover abbandonare l’uomo che amava e al tempo stesso per la vergogna di aver distrutto il suo matrimonio, ebbe una crisi nervosa e fu ricoverata in un manicomio.

Nel primo libro delle Laudi fa riferimento a Vallombrosa e probabilmente anche a qualcuna delle sue conquiste amorose:

…ma la Vallombrosa remota
è tutta di violette
divina, apparita in un valco
che tra due colli s’insena
ah sì dolce alla vista
che tepido pare e segreto
come l’inguine della Donna
terrestra qui forse dormente,
onde quest’anelito esala.
tratto da LaudiLibro primo: Maya – Laus Vitae

[Notizie dal Blog Turismo Letterario]

Percorso alla Cappella del fondatore dell’Abbazia. Da WIKIPEDIA  si legge:

“San Giovanni Gualberto. Giovanni, figlio di Gualberto, nacque probabilmente a Firenze o secondo altre fonti nel castello chiamato villa di Poggio Petroio, in val di Pesa, intorno all’anno mille dalla nobile famiglia dei Visdomini o, secondo altre fonti, da quella dei Buondelmonti. Suo fratello Ugo venne assassinato e secondo i costumi del tempo Giovanni fu chiamato a vendicarne la morte con l’uccisione del rivale. La vendetta si doveva consumare fuori porta San Miniato a Firenze, ma secondo la leggenda agiografica, il suo avversario si inginocchiò e messo le braccia in forma di croce invocò pietà. Giovanni gettò la spada e concesse il perdono. A quel punto Giovanni, secondo la tradizione, andò nel monastero di San Miniato in preghiera e il crocifisso lì presente avrebbe fatto segno, con il capo, di approvazione. Dopodiché Giovanni si ritirò all’interno del monastero benedettino annesso. Una volta diventato monaco il suo impegno si diresse a difendere la Chiesa dalla simonia e dal nicolaismo. I suoi primi avversari furono il suo stesso abate, Oberto, nominato suo superiore dopo la morte dell’abate Leone, nel 1034 e il vescovo di FirenzeAtto, entrambi simoniaci. Non essendo incline ai compromessi, e confortato dal monaco Teuzzone e non riuscendo ad allontanarli dalla città preferì ritirarsi in solitudine. Nel 1036 dopo varie peregrinazioni insieme ad alcuni monaci giunse a Vallombrosa, conosciuta allora come Acquabella.

Nonostante la solitudine però il suo ideale monastico rimaneva quello cenobitico, com’è presentato dalla Regola benedettina. A Vallombrosa la Regola fu applicata in una forma inedita, quella poi detta vallombrosana. I monaci, con la preghiera, si preparavano all’intervento diretto con gli affari di Firenze. Qui il loro antagonista era il nuovo vescovo Pietro Mezzabarba, succeduto ad Atto e simoniaco anch’egli. La vittoria dei monaci avvenne sia grazie all’appoggio del partito della riforma sia grazie alla leggenda dell’ordalia (giudizio di Dio) di Badia a Settimo. Qui il monaco Pietro avrebbe attraversato indenne il fuoco dimostrando il favore divino e per questo fu detto “Igneo”. Dopo l’approvazione papale, i vallombrosani conobbero un periodo di grande crescita.

Giovanni Gualberto morì nella badia di Passignano, un monastero che aveva accettato la sua Regola. Le sue reliquie erano conservate nel monastero di San Salvi presso Firenze, ma in occasione dell’assedio furono spostate a Passignano. In quell’occasione andò praticamente distrutto il sarcofago scolpito da Benedetto da Rovezzano, i cui frammenti sono oggi conservati nel Museo del cenacolo di Andrea del Sarto. Fu canonizzato nel 1193 da papa Celestino III; nel 1951 papa Pio XII lo dichiarò patrono del Corpo forestale italiano e nel 1957 patrono dei forestali del Brasile“.

Fonte di San Giovanni Gualberto

                 Una composizione artistica nel bosco

Targa commemorativa del 1921, 

seicento anni dalla morte di Dante