AUTUNNO LIBRI del FOGLIO LETTERARIO Patrizio Avella presenta Jacques Prevert

Giovedì 4 novembre ore 18 Pagina Facebook di EDIZIONI IL FOGLIO Patrizio Avella presenta Jacques Prevert, tra poesia, cinema e canzoni – con nota critica di Gordiano Lupi

Anticipazioni dal nuovo libro in uscita sul grande poeta francese

La poesia di Prevert non è banale, deve incidere sul senso della vita, amato dai giovani perché scrivo comprensibile e parla d’amore, ma non fa le rime amore e cuore, semplice mica vuol dire semplicista. Non ama il conformismo, disprezza il potere, parla di bimbi e animali, contrappone il candore di chi è puro con il basso individualismo degli adulti. La sua poesia dovrebbe affrancare l’uomo dall’inutilità del vivere senza scopo, tutto si riassume con l’amore che sconfigge il male e le meschinità del mondo, pure se spesso diventa tradimento e sofferenza, ma sempre lati dell’amore sono. E Jacques di quello parla, recita versi pieni di sentimento, non sarà mai poeta di un’elite, vuole platee di umili e studenti, lavoratori, ragazze innamorate.

Patrizio Avella è un giornalista italo – francese esperto di cucina, collaboratore de La Voce degli italiani in Francia, autore di alcuni libri di buon successo (alcuni scritti con Gordiano Lupi): Piombino con gustoA tavola con gli AppianiPiazza FontanaPasta e cinemaLa grande abbuffataModigliani, le donne e Parigi …

Jacques Prévert, il poeta dell’amore

di Gordiano Lupi

Nasco a Neuilly-sur-Seine, in piena Bretagna, un dipartimento della Senna, rue de Chartres, poco dopo mezzanotte, è il 4 febbraio del nuovo secolo, appena iniziato il Millenovecento; cresco in provincia, tra usi e tradizioni che mi restano addosso come un’altra pelle. Secondo figlio di André e Suzanne, mio fratello Jean muore troppo giovane, di tifo. La mia famiglia è piccolo borghese, mio padre non se la passa niente bene, segue vaghe idee di socialismo, mi porta con sé a visitare i poveri, cerca di aiutare come può; comprendo presto quanto la vita non sia giusta. Non siamo ricchi in casa, tutt’altro, non mancano i problemi, però mio padre ama la cultura, il cinema e il teatro, fa il critico per puro passatempo, vado con lui, cresco affascinato da quel mondo di finzione e sogni, di storie appassionati e di parole che saranno il leitmotiv della mia vita. Non mi priva di niente, mio padre, caso mai tralascia cose futili, per me vuole il meglio, che cresca con l’incanto della vita vissuta dagli occhi d’un bambino. Devo dire che sono recettivo, trova terreno fertile mio padre, amo leggere (e questo lo devo anche a mia madre), il cinema è una mia passione, certo la scuola meno, ché ci son troppe regole antiquate e io non le sopporto. Ecco, qui credo di averlo un po’ deluso, povero babbo, lascio la scuola a soli quindici anni, prendo appena la licenza media. Parigi è il mio mondo, poco a poco, ché mio padre trova lavoro all’Office Central de Pauvres, la ville lumiere mi accoglie e io ne resto affascinato, così diversa dalla mia provincia. Mi metto a lavorare, faccio un po’ di tutto per campare. A vent’anni parto militare, prima Lunéville, poi Istanbul, son antimilitarista e faccio pure propaganda, non è facile convivere con armi e superiori. Marcel Duhamel cambia la mia vita, lui è surrealista, io un giovane affascinato dalle idee, diventiamo amici, lo incontro spesso nella sue casa di Monteparnasse, aperta a tutti, dove si danno appuntamento intellettuali, jezzisti, poeti e alcolizzati. Rue de Chateau è la mia seconda casa, conosco Raymond Queneau e André Breton, divento surrealista che ho vent’anni, manifesto per i diritti del lavoro, ma la fascinazione dura poco. Nel 1929 scrivo Mort d’un monsieur per dissociarmi, i surrealisti son troppo autoritari, coltivano un cadavere squisito, pure i comunisti non fan per me, troppa ideologia, poi con loro, in fondo mai son stato. Son troppo indipendente, il mio amore per gli oppressi non finisce, solo che non può essere ingabbiato, sono un artista, faccio teatro col Gruppo d’Ottobre, mettiamo in scena tematiche sociali, problemi della gente; difendo i deboli, lo farò tutta la vita, ma a modo mio, senza etichette e sigle. Scrivo Citröen che vien letto nel corso d’uno sciopero, facciamo spettacoli in fabbrica, son libertario ma non ho etichette di partito, non seguo ideologie precostituite, non fan per me. Sposo Simone Dienne, amica d’infanzia, mia prima moglie, violoncellista che mi dà una mano per le colonne sonore dei miei film. Tornano gli insegnamenti di mio padre, il cinema fa parte della mia vita, scrivo tanti soggetti, sceneggio pellicole, tra una commedia e l’altra che mettiamo in scena. Lavoro con Jean Renoir e durante la guerra proteggo amici ebrei e li nascondo, il musicista Kosma, che darà voce alla mia lirica più avanti, pure il decoratore Trauner. A scrivere poesia comincio tardi, dopo il divorzio e la fine della storia con l’attrice Jacqueline Laurent, quando sposo Janine Tricotet e nasce la mia dolce Michelle.  Saranno le cose che ricorderete, soprattutto Parole, nel 1945, poi La pioggia e il bel tempoAlberiLe foglie morte. La mia poesia non è banale, deve incidere sul senso della vita, mi amano i giovani perché scrivo comprensibile e parlo d’amore, ma non faccio le rime amore e cuore, semplice mica vuol dire semplicista. Non amo il conformismo, disprezzo il potere, parlo di bimbi e animali, contrappongo il candore di chi è puro con il basso individualismo degli adulti. La mia poesia dovrebbe affrancare l’uomo dall’inutilità del vivere senza scopo, tutto si riassume con l’amore che sconfigge il male e le meschinità del mondo, pure se spesso diventa tradimento e sofferenza, ma sempre lati dell’amore sono. E io di quello parlo, voglio recitare versi pieni di sentimento, non sarò poeta di un’elite, voglio platee di umili e studenti, lavoratori, ragazze innamorate. Bastano poche pennellate per descrivere un sentimento umano, versi avvolgenti, intrisi di passione, staccandosi dal mondo e da intemperie, librandosi nel cuore delle genti. Un amore spontaneo e libero non teme cattivi sguardi, si manifesta anche se c’è chi disapprova, è sempre il momento per amarsi. Niente è più totale dell’amore, come niente è più nefasto della guerra, forse la religione, ché io son ateo e mangiapreti, più d’un vecchio comunista. Religione e guerra pari sono, due catastrofi per il genere umano, producono dolore e sofferenza, portano lontano dall’amore, che è ribellione e forza dirompente per uscire da schemi conformisti. Son giocoliere di parole, uso tutti i trucchi del francese che conosco, il mio amore, che non è mai scontato, vien messo in musica e cantato da Yvees Montand, Agnes Capri, Jacques Brothers, Juliette Greco, mica poco. La poesia è cosa che sgorga naturale, come la canzone e il racconto per bambini; teatro e cinema li ho fatti in gioventù, ma una storia resta dentro al cuore: Les Enfants du Paradis. Nel 1948 rischio la vita, cado da una finestra e resto in coma, per fortuna passa il mio amico Pierre Bergé, mi vede e mi porta in ospedale. Non ne vengo fuori mica tanto bene, devo fermarmi con il cinema impegnato e dedicarmi a fare meno cose, cartoni animati e film per bambini. Vivo quasi tutta la vita negli alberghi, senza una vera casa, che decido di abitare dal 1955, un appartamento in un vicolo cieco di Grandes-Carrières, un quartiere dietro al Moulin Rouge. Rimango solo che sono in là con gli anni, qualche amico vero viene a casa, di tanto in tanto, sono malato, non voglio far sapere a tutti che la vita mi sta abbandonando. Omonville-la-Petite, ancora provincia, lontano da dove sono nato, Dipartimento della Manche, 11 aprile del 1977, muoio da poeta, ammalato di una cosa che non curi, cancro ai polmoni, che ti fa soffrire, attorno a me poche cose e troppi versi. Settantasette anni non son tanti, se non avessi fumato tre pacchetti di sigarette al giorno la mia vita avrebbe potuto essere più lunga, ma che volete farci, è stata intensa, ho vissuto d’amore, avvolto in una nuvola di fumo. Son sepolto qui, in questa provincia, accanto alla mia tomba c’è un giardino costruito da moglie, figlia e amici. So che in Francia il mio nome lo puoi leggere sulle insegne di tante piazze e strade, c’è persino qualche monumento nei giardini, ma il luogo più bello dove amo vederlo inciso è sui cornicioni delle scuole, che da ragazzo non ho mai amato ma che da vecchio ho cominciato ad apprezzare.

Assunto mio malgrado nella fabbrica delle idee / mi sono rifiutato di timbrare il cartellino / Mobilitato altresì nell’esercito delle idee / ho disertato / Non ho mai capito granché / Non c’è mai granché / né piccolo che / C’è altro. / Altro / vuol dire che amo chi mi piace / e ciò che faccio.

Gordiano Lupi