Chi è Jean-Pierre Melville? Questa è la domanda che mi sento fare più spesso quando cito questo nome. Ho incontrato Melville in una piovosa sera fiorentina, nel buio di un salotto, su un televisore che mi rimandava cappelli con la tesa e impermeabili dal bavero alzato: personaggi costretti a girare su loro stessi, irrequieti e instabili, ma affascinanti e mitici. Immortali.Ma se erano immortali, come mai, parlando con appassionati di cinema (casuali e non) Melville era diventato poco di più che un ricordo? Quando andava bene, era l’immagine sfocata di un uomo dalle pesanti occhiaie, quasi sempre coperte dagli occhiali da sole e con uno Stetson bianco sul capo. Poco di più. Questo mi ha sorpreso molto, i primi tempi in cui mi ero immerso nell’universo Melville.
La bibliografia disponibile da noi è scarna e, per quanto ineccepibile, quasi introvabile. Il testo fondamentale di riferimento, che citerò spesso durante la monografia, vale a dire Il cinema secondo Melville a opera di Rui Nogueira in conversazione con lo stesso Melville, è ormai trovabile solo nelle librerie di appassionati cinefili (e ringrazio di averne trovata una copia, custodita gelosamente!). Armato di buona volontà, avevo ormai preso la mia decisione: era tempo di ravvivare la fiamma del regista francese.
Perché la storia di Jean-Pierre Grumbach, nato il 20 ottobre 1917 a Parigi, che diventerà presto Melville in onore di uno dei suoi idoli, Herman Melville, è troppo affascinante perché non venga raccontata un’altra volta. Non solo cinema (e che cinema!), ma rischi di ogni genere, litigi, difficoltà di produzione, invenzioni, contaminazioni a doppio senso. Melville, che prima di essere regista era cinefilo, “elencatore” seriale (celebre la sua lista di sessantatré registi americani per lui significativi, dalla quale era escluso Charlie Chaplin «perché lui è Dio») e appassionato di Poe, London e Herman Melville e che ha tanto cara l’etica della sconfitta e dell’irraggiungibile. Il suo è un cinema segnato dall’assenza, dal non detto, da un’atmosfera densa e mortale. Lui che confessava a Rui Nogueira: «Nella vita, desidero soltanto una cosa: essere lasciato in pace. Da parte mia, lascio in pace gli altri» ma che, volente o nolente, sarà il motore a propulsione di molta parte del cinema francese dagli anni ‘60 in poi e non solo. Storia con la S maiuscola da cui deriva una Gratitudine, sempre con la G maiuscola. Perché tanti film amati oggi non esisterebbero senza il cinema di Jean-Pierre Melville (come, a sua volta, il suo non esisterebbe senza i predecessori… ma questo è un gioco a ritroso che possiamo fare quasi fino agli albori del cinema stesso).
In questa monografia prendo in esame, uno alla volta, i tredici film della sua filmografia, nessuno escluso. Troppo pochi, ma incredibilmente densi. Tutti buoni? Come deciderlo? Sicuramente tutti Melville. E mi sento di citare Federico Frusciante che, in una delle sue video-recensioni su YouTube, diceva, giustamente: «di Melville non si butta via niente».
Ho cercato di raccontare, ricostruendo con le varie fonti, la produzione di ogni film, la trama e una mia interpretazione del significato, accompagnata da una personale analisi della messa in scena. Tanti di questi film hanno un posto d’onore nel mio cuore di appassionato. Ci sposteremo tra i suoi due filoni tematici principali, vale a dire i film sulla Resistenza francese e, utilizzando un termine molto ampio, i suoi noir; ma non sottovalutiamo le digressioni atipiche, prima tra tutte uno dei miei film melvilliani preferiti,I ragazzi terribili.
Il modo migliore per fruire di questo libro è usarlo come fosse una mappa del tesoro. Perché il cinema di Melville va scoperto e poi, subito dopo, scoperto una seconda volta. Consiglio quindi, magari, di leggere la prima parte di ogni capitolo, dedicata alla produzione del film; poi, se incuriositi, vedere il film, per recuperare, subito dopo, la lettura dei paragrafi rimanenti, al sicuro dagli “spoiler” che tanto sono temuti oggigiorno.